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Dipendenze patologiche

Dipendenze patologiche (6)

A cura della dott.ssa Laura Falzone

di Laura Falzone

Ho fatto un patto sai con le mie emozioni, le lascio vivere e loro non mi fanno fuori!” Vasco Rossi

 Vasco ci racconta, a modo suo, che scendere a patti con il nostro universo emozionale è possibile. Cosa dice la psicologia in proposito?

di Tania Nicolucci

Avete presente una calamita?

Immaginate di tenerla in mano e di porvi nelle vicinanze di un ferro che vorrebbe attrarla a sé. Più ponete la calamita nelle sue vicinanze più avvertite, quando la distanza è minima e il contatto è alle porte, la forte attrazione che spinge la calamita verso il ferro; tanto che, se la si lascia, ci si unisce in un “batter d’occhio”, e rimane lì, immobile.

di Laura Falzone

La maggior parte di noi dà per scontata quella meravigliosa capacità che ci permette di dare un nome alle emozioni che proviamo. Tutto sembra un avvenire in modo automatico, immediato, senza sforzo.

Siti, blog, persino gruppi su whatsapp.

Sembra un vero e proprio movimento di auto-mutuo aiuto, se non fosse che l’obiettivo condiviso e non esplicitato è la morte differita. Lo stato di esaltazione e di identificazione fa pensare all’adesione tipica delle sette religiose.

Invece stiamo parlando di giovanissime donne sofferenti di disturbi alimentari, in particolare anoressia e bulimia. Si incontrano on line per scambiarsi consigli, indicazioni, “comandamenti” e per incitarsi vicendevolmente sulla strada della loro trasformazione in scheletri viventi.

Avete già visto il nuovo video di Moby "Are you lost in the world like me?"

Paura e sgomento in una dimensione popolata da uomini che, come zombie, condividono spazi ma non interagiscono, non si scambiano sguardi, non si parlano. La percezione è di totale irrealtà. Succedono cose, anche terribili, in questa dimensione: violenze fisiche e psichiche, dirette all’altro o a sé. Il tutto in bianco e nero.

Ma è proprio così: la realtà come appare dietro lo schermo dello smartphone, o del pc, ci appare in bianco e nero, cioè svuotata di ogni dimensione emotiva e simbolica. Gli altri sono oggetti, comparse, privi di spessore, tanto che ci permettiamo di dire e fare di loro qualsiasi cosa. L’altro, dietro lo schermo, diventa oggetto di consumo: posso usarlo per guadagnare “like”, per insultarlo, per farmi bello, per sentirmi migliore svilendo lui. Il prezzo non conta.

Siamo tutti "ex" di qualcosa: un amore, un lavoro, un frammento della nostra identità. Proviamo a rivivere un momento della nostra storia in cui siamo stati costretti, da noi, dall'altro o dalla vita, a fare a meno di qualcosa che ci appariva come fondamentale, essenziale per il nostro equilibrio, tassello importante di quel puzzle che è il senso dato alla nostra esistenza.

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