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Mercoledì, 27 Ottobre 2010 22:39

Il clamore mediatico della violenza familiare

Scritto da Simona Ruffini
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Un breve spunto per riflettere sull'enorme potere dei media nella vita quotidiana.
Perchè e come esercita questo potere? Perchè tanto clamore?

 

Lo scorso anno si poteva leggere su tutti i quotidiani, suscitando grande stupore, il seguente titolo: “La violenza familiare uccide più della mafia ”. I sottotitoli riferivano che la tendenza era ormai consolidata da qualche anno, stando alle statistiche dell’Istat. Fino agli anni ’90, infatti, sui media si discuteva dell’alto numero di vittime della criminalità organizzata.
Nel 2006, il sorpasso.
Vittime delle cosche: 146, omicidi in famiglia: 176 (www.blitzquotidiano.it).
E la situazione, purtroppo, è peggiorata anno dopo anno.
Nel 2007 i morti fra le mura domestiche sono stati 195, secondo dati Eures (www.eures.it), 149 nei primi otto mesi del 2008, secondo l’Istat (www.istat.it).
Lo spazio che tali eventi trovano nei media e il clamore che ne segue è sicuramente degno di nota.
Secondo Delumeau la ragione di ciò risiede nel processo di ”oggettivazione”: sarebbe necessario esorcizzare la paura suscitata da tali eventi drammatici, del tutto distanti dalla “normalità”, trasformandola in un sentimento comune a molti, quello che l’autore definisce “il trapasso dalla paura personalmente sentita a quella che si cerca di far condividere ad altri” ( Delumeau J., Il peccato e la paura – L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Il Mulino, Bologna, 1987).
Secondo altri questa attenzione dei media è da ricondurre al gioco reciproco fra il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore e l’ambivalenza affettiva che lega persone dello stesso nucleo familiare (Francia A., Pintucci R., Traverso G. B., Considerazioni criminologiche in tema di infanticidio, Rassegna di Criminologia, vol 16 (2), 1984, 301-315).
In una visione psicoanalitica, si verificherebbe un’identificazione sia con l’aggressore che con la vittima, soddisfacendo e contemporaneamente controllando, delle tendenze presenti in ognuno di noi( che in termini tecnici vengono definite sadomasochistiche), ma inaccettabili per la coscienza. Di qui il bisogno di mettere in atto un meccanismo di difesa che allontani da noi le suddette tendenze: lo sdegno conseguente a simili notizie implicherebbe proprio una difesa contro la consapevolezza di tale partecipazione.

Senza ricorrere alla psicoanalisi e continuando in un’ottica giornalistica, si può considerare una spiegazione più semplice: la spettacolarizzazione della notizia al fine di coinvolgere un vasto pubblico e avere un’ampia risonanza. E questo sfruttando la retorica che da sempre circonda la “santità” della famiglia. Le persone, infatti, considerano la famiglia come una microcomunità, fonte di protezione e che favorisce le competenze relazionali. E’ all’interno dell’unità familiare, aggregato di persone che condividono lo stesso bagaglio culturale e forti legami e interessi fisici e affettivi, che un individuo si aspetta di ricevere amore ed educazione e di formare la propria identità. Non si può pertanto parlare di questi eventi se non definendoli orrendi delitti commessi da “ mostri”, “orchi” o più spesso “folli”. La spiegazione sarebbe quindi da reperirsi nella patologia poiché questi delitti violano le consuetudini di normalità psichica su cui facciamo affidamento. Questo, però, rappresenta uno stereotipo culturale non sempre vero, ma che sopravvive per il duplice scopo rassicurante che assolve: rendere conto di un comportamento così terribile e allontanare da noi, che “matti” non siamo, la prospettiva di poterne diventare autori.
Quel che bisogna sottolineare è l’enorme “potere dei media” in questo ambito. I media propongono immagini, concezioni, rappresentazioni della realtà che possono influenzare i processi in virtù dei quali le persone costruiscono il proprio sapere sul mondo.
Gli studi sulle immagini della devianza proposte dai media costituiscono la premessa per la ricerca sulle rappresentazioni sociali della devianza, in particolare per il ricorrere in esse di rappresentazioni stereotipiche (Losito, G. 1993, L'analisi del contenuto nella ricerca sociale. Milano: Franco Angeli, pp. 175 ).
La violenza in famiglia quindi non può esserne esente.
L’importante è, ciò detto, esserne consapevoli per una lettura critica e consapevole del fenomeno.

Letto 3874 volte Aggiornato: Sabato, 18 Giugno 2016 11:36
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