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Pubblicato in Dipendenze patologiche

Attrazioni fatali. Quando un'abitudine diventa una dipendenza In evidenza

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20 Apr 17

di Tania Nicolucci

Avete presente una calamita?

Immaginate di tenerla in mano e di porvi nelle vicinanze di un ferro che vorrebbe attrarla a sé. Più ponete la calamita nelle sue vicinanze più avvertite, quando la distanza è minima e il contatto è alle porte, la forte attrazione che spinge la calamita verso il ferro; tanto che, se la si lascia, ci si unisce in un “batter d’occhio”, e rimane lì, immobile.

Ora, immaginate la stessa cosa su un individuo, che senta una spinta verso qualcosa o qualcuno che lo attrae, a tal punto da diventarne dipendente..

Questo è quello che è accaduto ad Alessia, 51 anni. Per otto anni ha vissuto la sensazione di una forte spinta incontrollabile, che la portava a giocare d’azzardo. Sentiva di non essere in grado di controllare quell’impulso al gioco, e quotidianamente si ritrovava a fare azioni ripetitive e compulsive, senza poterne fare a meno.

Racconta di come avesse perso il controllo di sé, la sua integrità come persona e dice: In questi otto anni ho preso, senza accorgermene, venti chili. Non sono mai andata dal parrucchiere, non ho mai fatto un'attività sportiva, ho perso tutti gli amici che avevo. Ho sviluppato un'infiammazione al tunnel carpale della mano destra che ho considerato una malattia 'professionale', tanta l'attività svolta in sala sul pulsante delle slot-machine. Ho trascurato il lavoro nel senso che, ho dimenticato doveri e diritti, lavorando meccanicamente e senza motivazione alcuna continua: Ho vissuto giornalmente la sensazione di voler sparire. Continui pensieri di completo annullamento. Nel tempo andava sempre peggio, mai meglio. Mi sentivo completamente incapace di scegliere e mi sembrava di essere trascinata alla sala gioco da una volontà diversa dalla mia.

Ad Alessia era sfuggita di mano la vita; si rifiutava e si oscurava, rinchiudendosi nel gioco per vincere, o meglio nell’illusione di vincere la sua sensazione di vuoto, di inutilità che era parte centrale dei suoi pensieri. Era attratta dal gioco d’azzardo e si incollava a ciò che gli permetteva di giocare

Ma Alessia, a differenza della calamita può modificarsi, cambiare e migliorarsi.

Ed Alessia così ha fatto; ha scelto di ridirezionare la sua vita, di riprenderla in mano, intraprendendo un cammino lungo, non sempre semplice, dove si può incorrere in ricadute e sensazioni negative, di non riuscita o di nullità, ma dove prevale la speranza e la voglia di cambiare. Un cammino in cui ha dovuto elaborare fratture, mancanze e turbamenti dentro sé, per uscire dal suo circolo vizioso, dal suo tunnel nero, in cui camminava sola ed a senso unico.

Ha fatto questo attravreso un percorso terapeutico che l’ha aiutata a canalizzare il piacere su nuove cose, a porre lo sguardo su altre alternative, che prima non riusciva a vedere. Ha ritrovato se stessa, e anche una nuova persona che la apprezzasse e che condividesse con lei la vita.

Le parole di Alessia: La mia 'soluzione' è stata toccare il mio fondo, vivere una vita che non era più vita, perdere la mia dignità di donna, perdere anche la mia forma di donna. È stata parlare e parlare e parlare. Non nascondermi. Anzi ostentare la sofferenza. Non vergognarmene. Piazzare me stessa così ingrassata, così dolente davanti a tutti. La mia soluzione è stata quella di prendere coscienza che non dovevo colpevolizzarmi tutti i giorni ma lottare con me stessa tutti i giorni, ed arrendermi all'idea che avevo bisogno di aiuto. E che da sola non ce la potevo fare.

Ora è un anno che Alessia non gioca più: Di una cosa sola, l'ultimo anno, ero certa: non ne potevo più. Giocavo a farmi male, perché il tempo del gioco è un tempo 'fermo', è un unico momento privo di riferimenti spazio-temporali. Un tempo in cui non si cresce, non si cammina. Un tempo che esclude ogni progettualità. Continua: Ora mi sento libera. Ed è appunto un anno che coltivo questa meravigliosa sensazione di consapevolezza, di pienezza, di libertà e di scelta.

Affrontare quello che sta dietro la dipendenza attraverso un lavoro terapeutico è il primo passo dunque. Il percorso può essere molto lungo è difficile ma il vuoto va affrontato fino in fondo, come ha fatto Alessia, altrimenti il rischio è quello di sostituire un comportamento di dipendenza con un altro.

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Letto 3223 volte Aggiornato: Venerdì, 21 Aprile 2017 09:54
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